“L’uomo che volò a Tokyo” di Publio Magini
Publio Magini, chimico-fisico, pilota e tecnico aeronautico, ripercorre nel libro “L’uomo che volò a Tokyo-Storia di un aviatore del XX secolo”, le sue esperienze di vita che per uno strano scherzo del destino lo hanno portato a viaggiare in lungo e largo, arrivando persino a Tokyo.
Il volo su Tokyo è sicuramente un’impresa sconosciuta a molti, ma che merita di essere ricordata. Magini si era già dedicato a numerosi studi sul volo senza visibilità e alla navigazione aerea (soprattutto astronomica), e con questa impresa è riuscito a mettere in opera i frutti delle sue ricerche.
Nel 1942 Magini era stato assegnato ad un reperto dello Stato Maggiore dell’Aeronautica a Roma. Ricevette un incarico particolare da Bernasconi sullo studio della strumentazione di bordo degli aerei, senza essere informato sull’utilizzo che ne sarebbe stato fatto. Tutto era avvolto dal mistero.
Attraverso il materiale recuperato in guerra in seguito alle conquiste dei depositi nemici, Magini iniziò ad aggiornare anche la strumentazione in suo possesso, sviluppando anche nuovi strumenti e adattandoli al volo astronomico. Ad esempio, con l’aiuto di un disegnatore, fece tracciare in cielo stellato in due emisferi usando nuovi criteri, in modo da rendere riconoscibili le costellazioni anche a chi non ne aveva mai viste. Dalle effemeridi americane recuperò la nomenclatura e le espressioni in gradi delle coordinate, adottando l’ascensione versa invece di quella retta per facilitare i calcoli delle coordinate in volo. Adottò tavole di altezza e di azimut inglesi di più facile lettura. Iniziò lo studio di un nuovo sestante, quelli adottati fino ad ora erano complicati da utilizzare in volo: “un sestante completamente diverso, in grado di elaborare in modo automatico la media di un certo numero di altezze, osservate anche discontinuamente, e di calcolare il tempo medio corrispondente a quel valore. Passai i disegni e le relative considerazioni teoriche alle Officine Galileo di Firenze, che ne fecero un prototipo funzionante.”
Gli studi scientifici che aveva condotto da ragazzo, applicati in ambito aeronautico, ed uniti al suo genio gli avevano consentito di avviare una rivoluzione nell’ambito della navigazione aerea.
Finalmente fu svelato il motivo di queste ricerche: Magini avrebbe fatto parte dell’equipaggio che, attraverso due scali (Ucraina e Mongolia), avrebbe dovuto raggiungere Tokyo.
Si trattava di un collegamento “sperimentale”, per poi avviare un canale continuo di scambio di informazioni tecniche e militari tra Italia e Giappone, anche in vista dell’espansione del conflitto mondiale.
L’aereo scelto per l’impresa era un SM.75 versione Ga (Grande Autonomia), opportunamente modificato.
A pochi giorni dal decollo per Tokyo, l’equipaggio viene “dirottato” su un’altra impresa. Il 9 maggio 1942, annuale della proclamazione dell’impero, il velivolo viene inviato su l’Asmara per effettuare un lancio di volantini tricolori con la scritta «Ritorneremo» . Alle ore 21,30 del 9 maggio l’SM.75Ga atterra all’aeroporto di Ciampino. Due giorni dopo, durante un volo di trasferimento, l’aereo viene distrutto presso Frattocchie (Roma) e Magini si procura la frattura di una gamba.
A distanza di qualche settimana riprendono i preparativi per il volo su Tokyo con un nuovo equipaggi, formato dal tenente colonnello Antonio Moscatelli, dai capitani pilota Mario Curto e Publio Magini, dal sottotenente radio-aerologista Ernesto Mazzotti e dal maresciallo motorista Ernesto Leone.
Ecco come procedettero nel dettaglio i preparativi ed il volo di andata e ritorno (fonte www.alieuomini.it)
Il 12 giugno il secondo SM.75 RT (MM.60539) (RT=Roma-Tokio) risulta pronto in Ditta e pertanto Moscatelli riceve l’ordine di effettuarne il prelievo ed il volo di rodaggio sulla linea Roma-Siviglia-Lisbona.
Il giorno precedente, il col. Shimizu ha intanto posto le prime difficoltà chiedendo che sul velivolo non sia presente alcun elemento che riveli la meta, perché una discesa forzata su territorio sovietico non abbia a guastare le relazioni tra Giappone e URSS legate dal patto di neutralità firmato il 13 aprile 1941.
Per tutto il mese di giugno 1942 continua la preparazione del volo. Molto delicata è la scelta e l’impiego dei cifrari per le comunicazioni tra il velivolo e la rete di assistenza al suolo a causa del lungo sorvolo di territori nemici.
Per le comunicazioni a carattere meteorologico si adotta un nuovo cifrario GALA, mentre i giapponesi insistono senza risultato, di essere portati a conoscenza del nostro cifrario «Centauro».
Per la difesa individuale sono presenti a bordo dell’aereo due fucili mitragliatori Beretta mod.38/A con 1.000 colpi ciascuno, ottenuti in prestito dalla Polizia Africa Italiana.
Intanto a Zaporoz’e il Comando Aeronautica del CSIR ha provveduto a concentrare 12.000 litri di nostro carburante e 3.500 litri di benzina etilizzata rumena a 87 ottani, le cui campionature sono inviate in aereo a Roma perché ne sia verificata la compatibilità con i motori dell’SM.75.
Il 26 giugno è addirittura rinviata la partenza perché la fase di luna piena complicherebbe il sorvolo notturno dei territori sovietici.
Il giorno successivo Ciano comunica al Ministero dell’Aeronautica che cade anche l’ipotesi di trasporto dell’esponente nazionalista indiano Chandra Bose, non avendone i giapponesi avallato l’imbarco e neppure viene sfruttata la possibilità di 140 kg. di carico utile. Persino il messaggio personale di Ciano al Primo Ministro e Ministro della Guerra Hideki Tojo non è presente a bordo in quanto l’equipaggio lo troverà a Tokyo, radio trasmesso.
Il 28 giugno, l’Addetto Aeronautico Italiano a Tokyo, magg. Federici, comunica che i giapponesi hanno rilevato forti disturbi e false trasmissioni effettuate dai sovietici sulle onde radio utilizzate fra Tokyo e Roma, che fa ritenere che il programma del volo sia trapelato.
Alle h.5,26 del 29 giugno 1942, l’equipaggio decolla da Guidonia ed alle h14,10 atterra Zaporoz’e. Solo in questo primo tratto è presente a bordo l’ing. Palanca che ha pianificato tutti i problemi di consumo. Sull’aeroporto ucraino è già presente Marcello Tornassi, capo del servizio radio del Nucleo LATI, che deve coordinare a terra la rete di assistenza radio.
Alle h.20,06 del 30 giugno, l’SM.75 decolla ad un peso totale di 21.500 kg. in uno spazio di circa 700 metri.
Il sorvolo delle linee sovietiche si rivela pericoloso in quanto l’aereo è fatto segno a fuoco contraereo intenso ma impreciso, nei pressi di Voroscilovgrad incrocia un aereo nemico, è cercato dai riflettori fino oltre il Volga. L’equipaggio, in silenzio radio per le prime 10 ore di volo, riporta la sensazione che il nemico sia al corrente dell’orario di partenza e della rotta dell’aereo.
Per 1.000 km. oltre Stalino sono sorvolate città e nuclei industriali illuminati, la rotta continua sulla costa nord del mar Caspio, lago d’Aral, lago Balkash, monti Tarbagatai, deserto del Gobi, dove si incontra atmosfera molto agitata con tempeste di sabbia fino a 3.000 metri di quota. Il volo continua comunque con regolarità e l’aereo si comporta ottimamente anche nel maltempo. La cartografia utilizzata rivela invece varie inesattezze quali catene montane localizzate erroneamente o non citate.
Alle h.17,20 del 1° luglio l’SM.75 RT atterra a Pwa Tan Chen ove un generale dell’aviazione nipponica dà il benvenuto insieme al ten. di vascello Roberto De Leonardis ed il cap. Enrico Rossi, giunti da Tokyo dal 17 giugno per coordinare l’assistenza.
Il 3 luglio sono percorsi gli ultimi 2.700 km. lungo la rotta Pekino-Dairen-Seul-Yonago-Tokyo, raggiunta alle h.17,04. L’aereo, che nell’ultimo scalo ha adottato le insegne nipponiche, trasporta anche un capitano pilota giapponese e, come interprete, il capitano Rossi. All’atterraggio sono presenti l’ambasciatore Indelli, i nostri Addetti militari, numerosi ufficiali giapponesi.
Nei giorni successivi Ciano e Casero tentano nuovamente di convincere Tojo a rendere noto il volo anche perché la presenza a Tokyo del nostro equipaggio non può essere passata inosservata al Personale dell’Ambasciata sovietica e l’aereo può essere giunto in Estremo Oriente per una rotta meridionale. L’11 luglio la risposta ufficiale è negativa, almeno fino a quando non sia attuato un collegamento periodico sulla rotta meridionale, con scalo a Rangoon, in Birmania. Per questa ragione il magg. Federici suggerisce di scavalcare tali riserve, attraverso un comunicato, magari da far pubblicare sulla stampa svizzera.
Il 10 luglio il Governo giapponese avanza la richiesta affinché nel volo di ritorno sia presente un suo ufficiale pilota. Il Governo italiano risponde sottolineando le difficoltà di decollo in sovraccarico da Pwa Tan Chen e richiamando i rischi di sorvolo del territorio sovietico: in effetti la proposta è fatta cadere bruscamente dalle stesse Autorità nipponiche.
In un secondo momento Federici appura che la richiesta è stata osteggiata dall’Ufficio Politico del Ministero della Guerra e caldeggiata invece dagli enti tecnici dello Stato Maggiore e dell’Ispettorato dell’Aviazione nell’intento di raccogliere elementi sull’impegnativo volo. È anche esclusa l’eventualità di un ritorno lungo la rotta sud in quanto essa richiede una tappa di 7.500 km. e comporta il sorvolo dell’India settentrionale, fortemente presidiata dal nemico.
Il 15 luglio è deciso che l’aereo ripartirà vuoto, come nel volo di andata. Anche i doni giapponesi (tre spade di onore rispettivamente per Mussolini, per il Capo di Stato Maggiore Regia Aeronautica, per il comandante del velivolo) restano depositati presso la nostra Ambasciata a Tokyo.
Alle h.5,20 del 16 luglio 1942, l’SM.75 RT decolla da Tokyo e giunge nuovamente a Pwa Tan Chen alle ore 15,40 locali: qui sono cancellate le insegne giapponesi e l’aereo è preparato per il nuovo grande balzo. Il decollo si rivela difficile per il peso totale (21.000 kg.) e le caratteristiche dell’aeroporto (1.300 metri di pista ma a quota di 1.020 metri, con temperature di circa 25°). Partito alle h.21,45 del 18 luglio, l’SM.75 RT atterra a Odessa alle h.2,10 del 20. Sul deserto del Gobi si incontra cielo parzialmente coperto e pioggia; come nel volo di andata, i monti Tarbagatai sono attraversati passando nelle valli. Tra i laghi Balkash ed Arai si incontrano cumuli sparsi e sul mar Caspio un fronte freddo che causa formazioni di ghiaccio non gravi. Per cause ignote l’ultima parte del volo viene a mancare dei collegamenti radio ed è impossibile radiogoniometrare il radio faro di Stalino per cui l’aereo, in volo notturno, nonostante le perfette rilevazioni astronomiche effettuate da Magini, ha non poche difficoltà per atterrare a Odessa, dopo 6.350 km. di volo.
Alle h.11 dello stesso giorno il velivolo riparte da Odessa e giunge a Guidonia alle h.17,50 ove ad attenderlo è Mussolini insieme ad altre personalità.
Moscatelli e Magini hanno avanzamento di grado per meriti di guerra, Curto la medaglia d’argento al Valor militare sul campo, Mazzotti la medaglia di bronzo, Leone la promozione a sottotenente motorista per meriti di guerra.
L’impegnativa quanto fortunata impresa ha permesso di raccogliere una preziosa esperienza per la creazione della linea. Da un punto di vista tecnico l’equipaggio formula solo alcune raccomandazioni quali la possibilità di navigare a quote di 6.000 metri (al 70% del peso di decollo), cabina riscaldata in luogo delle tute individuali che non hanno dato buona prova, dispositivi antighiaccio per i bordi d’attacco dell’ala e della coda, ulteriore potenziamento delle installazioni per il calcolo astronomico. Circa i carichi trasportabili, è fatto riferimento alla possibilità del trasporto di materiali strategici per la nostra industria aeronautica.
Ma prima di pensare ad un secondo collegamento (programmato sempre con SM.75 RT per la seconda metà d’agosto) rimane aperta la questione della propaganda al volo che le Autorità italiane vogliono pubblicizzare per il favorevole riscontro sull’opinione pubblica interna ed internazionale.
Il 25 luglio 1942, infine, un quotidiano romano annuncia il volo «condotto al disopra di territori occupati dagli inglesi ». Il 26, Ciano comunica alle Autorità giapponesi che la notizia è stata pubblicata in quanto, avuto sentore della sua comparsa sulla stampa svizzera, non era ammissibile che questa fosse la prima ad annunciarla anticipando quella italiana.
Dopo questa incredibile impresa non ci fu alcun seguito per i voli Roma-Tokyo-Roma.
Nel suo libro Magini non si preoccupa di raccontare solo l’esperienza del volo a Tokyo. A quest’avventura dedica un solo capitolo, mentre nei restanti racconta la sua vita privata durante gli anni della guerra e delle altre esperienze che ha vissuto in ambito aeronautico.
Negli anni a venire fu assegnato ad altri compiti, diventando dapprima assistente di volo di Fougier, poi di Badoglio, partecipando in prima persona a momenti di importanza storica come gli incontri con Mussolini e Eisenhower, sempre raccontati nel suo volume.
Dopo la guerra si dedicò all’aviazione civile, lavorando per le Avio Linee Italiane (ALI) e per la Boeing dove si dedicò allo sviluppo delle tecniche di atterraggio strumentale e alla progettazione degli aliscafi ad ala immersa. Contribuì anche all’avvio dei rapporti commerciali tra industrie aeronautiche italiane e statunitensi.
Un libro molto interessante che nella sua semplicità ripercorre la vita di un uomo normale, lavoratore, studioso e appassionato di ciò che faceva, tanto da renderlo straordinario.